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ROMA. Come la testa di Butrinto fu restituita all’Albania.

E’ con grande interesse che ho letto la rubrica «Diplomazia archeologica, la Venere di Cirene». L’interesse era accresciuto dal tema: l’archeologia. Infatti mi sto occupando di una mostra che verrà inaugurata il prossimo 2 ottobre al Colosseo. Il tema è proprio la tutela, in occasione della celebrazione del centenario del primo ordinamento (1909-2009). E proprio la Venere di Cirene doveva essere presente in mostra insieme ad altri capolavori che illustrano l’impegno per la salvaguardia del patrimonio culturale italiano.
Con questa mail, quindi, le esprimo il mio interesse per la storia della testa di Butrinto.
Gabriella Gatto press.electamusei@mondadori.it

Vorrei sapere se fosse una menzogna come tante altre, del resto, quello che ci insegnavano nelle scuole del regime comunista albanese, ovvero che il reperto era stato trafugato e portato illegalmente in Italia da Ugolini, capo della spedizione archeologica che lo trovò; oppure se, come aveva sostenuto Ugolini, la testa della Dea era stata offerta in dono a Mussolini dal re Zog d’Albania. Inoltre ci furono delle ragioni diplomatiche dietro la restituzione della Dea al regime rosso dispotico e paranoico di Hoxha all’inizio degli Anni 80 del secolo scorso? Che cosa ottenne in cambio l’Italia da siffatto regime?
Ritvan Shehi, Roma

Cara Signora, caro Shehi,
La testa fu trovata nel 1928 lungo la scena del Teatro romano di Butrinto in Albania nel corso degli scavi di una missione archeologica diretta da Luigi Maria Ugolini. Durante gli stessi lavori fu trovato anche il corpo di una statua di Apollo a cui la testa, verosimilmente, apparteneva. Gli accordi stipulati con il governo di Tirana prima degli scavi prevedevano che le opere rinvenute restassero in Albania, e così accadde. Ma la testa, qualche tempo dopo, fu apparentemente donata da re Zog a Mussolini e finì al museo romano delle Terme.
La storia della sua restituzione cominciò nel 1979 e fu raccontata alla Camera dei deputati da Giuseppe Galasso, allora sottosegretario ai Beni Culturali. Quando un deputato del Movimento sociale italiano, Olindo Del Donno, nell’aprile 1985, chiese notizie sulla restituzione della testa al governo albanese, Galasso gli rispose che aveva avuto luogo nel maggio del 1982 in occasione dell’invio a Tirana di una missione italiana per il rinnovo dell’accordo culturale che i due Paesi avevano firmato nel maggio del 1979.
Il ministero degli Esteri aveva scritto al ministero dei Beni culturali nel febbraio di quell’anno che «ambienti responsabili italiani» proponevano la restituzione della testa all’Albania nell’interesse dello sviluppo, delle relazioni culturali dei due Paesi.
Il sovrintendente archeologico di Roma Adriano La Regina aveva dato parere favorevole per due ragioni. In primo luogo riteneva giusto che la testa venisse ricongiunta al corpo, depositato presso il museo archeologico di Butrinto. In secondo luogo pensava che la restituzione avrebbe dato «dimostrazione di cortese e coerente applicazione di quei principi di comportamento, sempre auspicati ed invocati in ogni sede scientifica, volti a ridurre la continua sottrazione all’Italia di beni archeologici che illecitamente pervengono a musei stranieri». La testa non potè essere restituita nel maggio del 1979 perché il ministero per i Beni culturali dette la sua autorizzazione soltanto dopo avere sentito il parere del Comitato di settore per i Beni archeologici. La cerimonia di consegna, come ho detto, ebbe luogo più tardi, a Tirana, il 15 gennaio 1982.
La risposta di Galasso non piacque all’on. Olindo Del Donno che parlò di «prostituzione morale» e disse tra l’altro: «Ma chi vogliamo prendere in giro? Ma, signor Presidente, siamo alla Camera dei deputati o in un luogo di analfabeti? Ci vengono a parlare di contatti culturali con un Paese che di cultura non ha niente; mentre tutto quello che di grande, di bello e di augusto è stato fatto in Albania è stato fatto — diciamolo a fronte alta — dal governo italiano in quel ventennio che ha alzato la bandiera italiana ed ha creato una città come Tirana, un’altra che si chiama Durazzo, un’altra che si chiama Scutari!».
La reazione di Del Donno fu nazionalista, se non addirittura colonialista, e non tenne alcun conto delle motivazioni culturali con cui la testa era stata restituita agli albanesi. Ma anche in quel caso la cultura andò a braccetto con la politica. Dietro gli «ambienti responsabili italiani», così pudicamente descritti nella lettera del ministero degli Esteri, vi erano probabilmente settori del partito comunista. Il Pci sapeva che l’Albania non godeva delle simpatie dell’Unione Sovietica (era troppo filocinese) e voleva far sapere a Tirana che la sua politica verso i Paesi comunisti non obbediva agli ordini di Mosca.


 


Fonte: Corriere della Sera 13/09/2008
Autore: Sergio Romano

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